Rieccomi qua, più ispirato che mai e più improduttivo di sempre, impegnato come di consuetudine a rallentare il tempo in una notte insonne e sterile quasi quanto il sottoscritto, mi fermo spesso a riflettere su quanto poco tempo ho per farlo al punto che dopo due o tre lisciate di pizzetto è già scaduto e devo ritornare a trottare.
Esistono gli eterni nostalgici della psichedelia, delle big band negli anni d’oro del Cotton Club, della Callas a Venezia nel ’49, dell’orgia chitarristica di Monterey, dell’odore dei vinili ormai venduti all’asta…
La mia opinione a riguardo è molto drastica e letargica, nel senso che la nostalgia è sintomo di infelicità verso il proprio stato attuale. Una sorta di rosicata subliminale. Più o meno come quando si stressa il prossimo quando non si ha niente da fare, ma non mi sembra il caso di approfondire il discorso perché sforerei alla grande (prima o poi scriverò un libro sull’argomento…lo giuro).
Noto che un certo tipo di nostalgia genera un grave malanno, di cui ad occhio e croce la musica soffre sin dai tempi in cui quel sant’uomo di Gregorio Magno si narra abbia proclamato nero su bianco la separazione della musica colta e popolare, intesa dai più come musica di Serie A e di Serie B (per chi ha ancora dubbi sulla mia saccenza, siamo su per giù nel IX Secolo).
Da quel momento in poi è stato innescato il meccanismo liturgico che manda avanti tutto ciò che è marcio e corrotto nel mercato, nell’arte, nelle persone.
È scientificamente provato che da trent’anni a questa parte la comunicazione gioca brutti scherzi, quindi non c’è tempo per approfondire, non c’è tempo per pensare, tutto è rapido e si vive in uno stato di costante ansia ed agitazione. Lo vedo negli occhi dei parigini che ho avuto l’occasione di conoscere, lo vedrei nel mi volto se avessi il tempo per guardarmi allo specchio. Tutto deve essere splendente e da supermercato e, in verità, come dargli torto. Ma appena il sipario sociale cala, si tira un sospiro di sollievo e, quando si ha un po’ di tempo per riflettere, il tartaro nella zona sinistra del petto aumenta.
Risultato: sconforto, abbandono, rinuncia, fuga.
Chi ha inseguito il sogno di una vita appende lo strumento al chiodo. Altri al muro hanno invece una Laurea, simbolo di amore verso le persone care che hanno permesso il raggiungimento di questo traguardo importante.
Ci si rende conto di aver vissuto una vita in balia degli eventi come quando durante un pogo selvaggio non si hanno più le forze e si tira avanti a mo’ di flipper.
Non ho risposte.
Ho secchiate di domande inutili.
Ho chiavi di lettura altrettanto interessanti…
La prima è: basta rosicare e prendere la situazione in pugno.
Chi vuol fare credere che il mestiere di artista va fatto solo in un certo modo è probabilmente lo stesso che suona il blues usando volutamente solo l’esatonale e se ne compiace.
Se uno qualsiasi dei santini che tiene attaccato al muro potesse osservarlo, gli sputerebbe in mezzo agli occhi in un tempo di reazione medio stimato intorno ai 7,5 secondi.
Nella corsa contro il tempo vince chi è il più lucido, ma nel lungo periodo domina chi sa anche essere profondo.
La profondità di un oceano può essere colta a vista d’occhio…questione di input.
Ed è anche la migliore medicina contro il distacco.